Chiesa Madre S. Nicolò, oggi dedicata a San Sebastiano 1693-1741; statue sagrato 1774 (esterno)
Nel sito dell’antica Abola, posto sui monti Iblei, la Chiesa Madre, documentata in Vaticano dal 1308 con il titolo di S. Nicolò, fu distrutta dal terremoto dell’11 gennaio 1693. Per la ricostruzione dell’abitato, in prossimità della costa e nel feudo Mutubè, Giovanna e Nicolò Pignatelli Aragona Cortés, marchesi di Avola dimoranti a Madrid, inviarono da Palermo l’architetto gesuita Angelo Italia (Licata 1628-Palermo 1700). Questi, il 16 marzo 1693, iniziò a tracciare il perimetro esagonale della nuova Avola e i due assi viari principali: l’incrocio perpendicolare del cardo (Corso Garibaldi) con il decumano (Corso Vittorio Emanuele) determinò, proponendo anche il simbolo del cristianesimo, il centro del piano urbano.
Intorno a esso l’architetto definì un’area quadrata e situò la Piazza Maggiore (Piazza Umberto I), adibita, come nell’antica città, a pubblico mercato; sul lato N-O egli collocò il principale spazio sacro, la Chiesa Madre, in posizione dominante e frontale rispetto al Palazzo dei feudatari, che era anche sede amministrativa del Marchesato di Avola. Il successivo 6 aprile si pose, in un angolo dell’insula prescelta dall’Italia, la prima pietra per costruire la Matrice e, nei sotterranei dell’attuale sagrato, il primo cimitero della città.
Definite le fondamenta della chiesa, la costruzione procedette dal 1696 con i proventi della gabella della scannaria e sulla base di un altro disegno attribuibile al magister Antonio Mastrogiacomo (†1707) di Ferla. Proseguì i lavori, fino agli anni trenta del sec. XVIII, l’architetto Michelangelo Alessi di Siracusa, al quale si devono i capitelli del portale maggiore, lo stemma a tre pignatte di Nicolò Pignatelli e l’elevazione dell’interno della chiesa, a croce latina e tre navate. Nel 1741, completato il tiburio ad opera del magister Corrado Paternò di Avola, l’edificio venne benedetto e aperto al culto.
Di particolare interesse è la “facciata a torre” che, concepita a fine Seicento, precorre le analoghe strutture tardobarocche realizzate durante il Settecento nelle chiese del Val di Noto. Essa, in pietra bianca della «pirrera della Palma», è a superficie retta e di concezione rinascimentale. Il primo ordine, suddiviso in cinque parti da paraste con capitelli tuscanici, presenta ai lati due nicchie con le statue dell’Immacolata e di San Giuseppe col Bambino Gesù; i portali minori si ritrovano, uguali nel disegno, nella chiesa di S. Sebastiano di Ferla, che è attribuibile al suddetto Mastrogiacomo; l’insieme è concluso dalla trabeazione avente nel fregio, secondo gli stilemi del tempio greco, l’alternanza di metope e triglifi. Due volute spiraliformi raccordano la base della struttura al secondo ordine, che si caratterizza per l’uso di capitelli ionici. Il terzo ordine, con capitelli in stile corinzio, contiene la cella campanaria.
L’aspetto più scenografico dell’edificio, carico di suggestioni barocche, è dato dal sagrato, area sacra circoscritta nel 1774 da dieci alti piedistalli decorati con motivi acantiformi in stile rococò e sovrastati da statue in pietra arenaria; due di essi, con le relative statue, erano accostati ai fianchi del portale maggiore. A fine anni venti del sec. XX, sei di detti elementi furono eliminati perché molto deteriorati; attualmente si conservano, prospicienti l’ex Strada Cassaro (Corso Garibaldi), le basi con le effigi dei santi Giovanni Battista, Venera, Nicolò e Pietro. Quattro piedistalli sono stati ricollocati nel 2004.
La porta in rame del portale maggiore, lavorata a sbalzo e realizzata nel 1963 da Francesco Patanè di Acireale, raffigura I Sette Sacramenti. Nel 1986 la Parrocchia della Chiesa Madre S. Nicolò è stata intitolata a S. Sebastiano.
©2018 Francesca Gringeri Pantano Storica dell’Arte