LA FESTA DI SAN SEBASTIANO AD AVOLA
IL CULTO DI SAN SEBASTIANO
La processione dei “nuri” è il momento più suggestivo della festa che coinvolge l’intera popolazione avolese.
Il culto di San Sebastiano è quello che gli avolesi sentono e vivono con maggiore partecipazione e coinvolgimento personale e comunitario. Esso ha caratterizzato in modo particolare la vita e i costumi della gente di Avola, al punto che nel corso degli anni Ottanta del secolo scorso, su iniziativa del parroco del tempo, don Emanuele Moncada, venne dedicata a questo Santo la chiesa madre della città, la cui titolarità era, ed è rimasta in tandem, quella risalente al medioevo, di San Nicola di Bari. L’incremento del culto per il Santo bimartire si ebbe negli ultimi anni dell’Ottocento, ma fu nei primi del Novecento che esso assunse delle forme spettacolari con espressioni folkloristiche e manifestazioni esteriori di sapore paganeggiante, che ad un certo momento provocarono il duro intervento delle autorità ecclesiastiche. Infatti i pellegrini, vestiti solamente di un perizoma, e per questo detti “nuri”, provenendo dalla contrada Chiusa di Carlo, e precisamente dal luogo- cantato da Vincenzo Consolo nel suo romanzo L’oliva e l’olivastro- in cui, al terzo chilometro della Statale 115 per Siracusa, sorge un’elegante edicola votiva di pietra calcarea con una statuetta in ceramica smaltata dello scultore avolese Francesco Caldarella, si abbandonavano ad atti esteriori di dubbio gusto e a manifestazioni superstiziose che poco collimavano con una lineare fede cristiana. I nuri indossarono soltanto le mutande fino al 1941, quando, per l’intervento dell’arciprete don Antonio Frasca, pur tra resistenze e polemiche immediate, essi dovettero entrare in chiesa col vestito bianco e una fascia rossa a tracolla annodata alla vita, sì da formare un’ampia cintura. Il bianco è simbolo della purezza insita nella fede, il rosso la testimonianza del martirio nel sangue. Così vestiti, ancora oggi i nuri partecipano a migliaia al pellegrinaggio votivo insieme con un grandissimo numero di ragazzi e di donne, le quali indossano, per lo più, un abito rosso e recano in mano un mazzo di fiori prevalentemente rossi. Qualcuno reca una statuetta del Santo, moltissimi un cero votivo. Ordinatamente disposti, arrivano in città verso le otto, snodati in un corteo chilometrico di persone, che, gridando a squarciagola, invocano la protezione del Santo o lo ringraziano per l’assistenza e le grazie ricevute durante l’anno. Le grida che più ricorrono sono: “E-cchi-semu surdi e-mmuti l’Aulisi?
“Ccu – bbera firi: Viva Sam Mastianu!” E poi: “E cciamamulu ca n’aiuta! “ E cciamamulu, ch’è- ccapitanu!,” quasi ad incitare la folla a partecipare al rito in onore del Santo. Altre grida che si sentono sono: “E-ddhi unni vinemu? Ri tantu luntanu!” “ Viva Ddiu e sSan-Mastianu!” Le invocazioni e le grida sono guidate da un pellegrino che funge da corifeo, al quale risponde con perfetta sintonia la schiera dei pellegrini gridando: “ Viva Sam-Mastianu! “ Alcune espressioni esaltano la potenza che viene attribuita al Santo e il timore che egli incute nei devoti. “E-nn’è santu miraculusu! Cu cci capita cci criri! E-nn’è santu ri paura! Viva Sam Mastianu!” Qualche altra espressione, sottolineando il carattere perpetuo del voto fatto da parte di alcuni, esprime l’incertezza di essere ancora tra i vivi e la speranza di partecipare al rito nell’anno successivo: “ E-ccu cci campa n’autr’annu?“ Dentro la chiesa, davanti alla statua del Santo, si ripetono con toni ancora più accesi le scene rituali del pellegrinaggio. Dopo di ciò, alcuni pellegrini, che sono andati scalzi, calzano le scarpe, che i parenti hanno preventivamente portato nei locali della sagrestia, altri, ancora col costume rituale, si recano al cimitero, a portare sulla tomba dei parenti defunti il mazzo dei fiori votivo, concludendo così, con una massiccia affluenza, anch’essa quasi rituale, al cimitero, un rito complesso che in molti casi comincia circa quindici giorni prima, allorchè alcuni vanno in giro per la città, vestiti col tipico costume, a chiedere un obolo di casa in casa, per offrirne il ricavato al Santo, cui hanno fatto, durante l’anno, il voto di “arricugghjiricci a missa “; così infatti viene definita questa usanza votiva.