Ogni anno il nostro riunirci per il convegno diocesano – ha affermato il nostro Vescovo Mons Antonio Staglianò – diventa insieme alla messa crismale del giovedì santo e al pellegrinaggio al santuario della Madonna della Scala – epifania di Chiesa.

Un cammino lungo dieci anni

Mons. Vescovo ha ricordato che abbiamo camminato insieme per dieci anni: nel mostrarsi del volto della nostra Chiesa radunata c’è anche quanto abbiamo maturato comunitariamente e il tessuto di relazioni vissute in questo tempo. Sono dieci anni che si inseriscono nel cammino di ricezione del Concilio Vaticano II, legato anzitutto alla venerata memoria del carissimo mons. Salvatore Nicolosi. Egli, convocando il secondo Sinodo diocesano sul tema “Per riscoprire Gesù lungo le nostre strade”, ha permesso alla nostra Chiesa di vivere in anticipo temi e consapevolezze che ora ci vengono proposte da Papa Francesco, soprattutto nell’Evangelii gaudium, che egli chiede a tutte le nostre Chiese d’Italia di riprendere attivando processi sinodali che partano dal basso. E noi, che abbiamo già iniziato a farlo negli anni scorsi, lo faremo più esplicitamente in questo triennio pastorale dedicato al modello della Chiesa nascente, narrato negli Atti degli Apostoli e ripreso dal Concilio Vaticano II e dalla lettera apostolica di Papa Francesco.

Il prossimo triennio pastorale un cammino per rinnovare le nostre relazioni

Porta di ingresso del triennio quest’anno pastorale in cui ci sarà un cammino di confronto franco e leale dei presbiteri, per vivere più intensamente la comunione del presbiterio presieduta dal Vescovo. Tutti comunque – vescovo, presbiteri, laici, religiose – ci impegneremo a comunicare sempre di più nello Spirito, a rinnovare i nostri linguaggi, a parlare (e quindi a operare e a motivare al fondo ogni cosa) lasciandoci condurre dallo Spirito. Così potremmo rinnovare le nostre relazioni e vivere una fraternità che diventa credibile testimonianza ecclesiale e missionaria.

L’anno successivo speriamo di poter celebrare un Sinodo diocesano, che ci aiuti a cogliere pochi ma essenziali punti di conversione pastorale, riportando alle nuove sfide quanto maturato nel nostro secondo Sinodo diocesano e concretizzando, per la nostra diocesi e per il nostro territorio, quanto proposto a tutte le Chiese da Papa Francesco.

E quindi, al terzo anno, potremo maturare passi e cammini missionari che abbiano il timbro dello Spirito che ci spinge, come Filippo che incontra l’eunuco su strade deserte, a incontrare donne e uomini nostri compagni di viaggio nei deserti del nostro tempo. E lasceremo che lo Spirito ci converta a quella povertà evangelica che ci permette, come Pietro e Giovanni alla porta Bella del Tempio, di poter ancora oggi offrire una testimonianza credente e credibile. Così saremo capaci di guarire ogni paralisi con la forza del Vangelo, autenticato da convinte scelte di povertà evangelica che lascino la possibilità allo Spirito santo di operare senza ostacoli. Ci porteremo anche, come Paolo, negli areopaghi del nostro tempo a confrontarci con coraggio nella pluralità delle culture e nella ricerca di nuove forme comunicative attente ai molti e alle nuove generazioni, come provo a fare con la pop theology.

Come vi ho scritto nella mia seconda lettera pastorale, perché tutto si compia nello Spirito è necessario che, mentre accogliamo la misericordia del Padre, la nostra vita si conformi alla verità che è, non una idea o dottrina o un precetto, ma Gesù:

Nella fede cristiana, la Verità non è un concetto della mente, non è una qualità di una proposizione, ma è la persona stessa di Gesù […] Nel linguaggio biblico la verità si fonda sull’esperienza dell’incontro con Dio: la verità è anzitutto relazione. Relazione con un Dio affidabile, con un Dio fedele, a cui diamo fiducia poggiandoci su qualcosa di solido (Lettera pastorale “La Verità-in-persona rende liberi per amare”, nn. 7-8). Per questo – come sempre vi scrivevo – dobbiamo assicurare al nostro cammino un tono, il tono costruttivo e fraterno generato dalla preghiera costante, dall’ascolto della Parola circondata da silenzio e riportata alla vita, dall’eucaristia celebrata con senso del mistero e fruttuosa partecipazione, dalla relazione dei poveri accolti nella condivisione affettuosa.

Cosa ci accade quando si accoglie la verità di Dio?

Cambia la nostra vita e cambiano i nostri rapporti! […] Certo non sempre è così. Ci sono problemi che riguardano i nostri rapporti e l’efficacia della nostra azione pastorale. Anche in questi nodi più complessi, Dio ci soccorre e ci aiuta a fare verità nella nostra vita. Soprattutto, se conserviamo un cuore semplice e vero, comprendiamo che la mancanza di verità della nostra vita non la risolviamo con le nostre forze. Diventa però motivo di verità metterci nelle mani di Dio così come siamo e lasciare che Lui operi la trasformazione del cuore, dei rapporti e della storia. Certo, con fiducia a anche con serietà, con disponibilità a cambiare i parametri di giudizio, schemi mentali, stili di vita e a colmare omissioni nei rapporti e nelle responsabilità (ibidem, 15).

Vicini ai presbiteri, chiamati a testimoniare e comunicare la paternità di Dio

Quest’anno, come vi dicevo, un elemento importante della nostra conversione al Vangelo sarà il cammino con i presbiteri, che avrà il tempo sufficiente per poterci confrontare con il Signore, tra di noi e con le sfide del nostro tempo in quello spirito di comunione che richiamava il nostro Sinodo. Sempre nella mia seconda lettera pastorale, al n. 16 vi ho scritto:

Credo sia veramente importante pensare a come la verità diventa il nostro essere Chiesa, in cui ognuno si pensa insieme agli altri e mai da solo: quanta fatica ma anche quanta bellezza c’è nel mistero grande della Chiesa e nella sua chiamata alla comunione. Per questo vorrei che riprendessimo insieme quanto il Sinodo diocesano ci ha detto (lo recepisco come consegna grande e autorevole) sulla comunione. Anzitutto nel bellissimo titolo della decisione 31 – “Vivere del dono ricevuto” – e nella concretizzazione di alcuni passi che hanno il sapore della profondità nei verbi che si usano: valorizzarsi reciprocamente, fondare le relazioni nel rispetto delle differenze e dei doni, riconoscere e accogliere … Sono i verbi che rendono vera la comunione e che forse dobbiamo far precedere a tutto quanto diciamo o decidiamo sul piano più operativo delle comunità di parrocchie.

Anima della comunione sono i presbiteri, chiamati ad esprimere insieme nel presbiterio presieduto dal Vescovo la paternità di Dio. Come si legge nel documento dei vescovi italiani, Il volto missionario della parrocchia in un mondo che cambia, al n. 12:

I sacerdoti dovranno vedersi sempre più all’interno di un presbiterio e dentro una sinfonia di ministeri e di iniziative: nella parrocchia, nella diocesi e nelle sue articolazioni. Il parroco sarà meno l’uomo del fare e dell’intervento diretto e più l’uomo della comunione; e perciò avrà cura di promuovere vocazioni, ministeri e carismi. La sua passione sarà far passare i carismi dalla collaborazione alla corresponsabilità, da figure che danno una mano a presenze che pensano insieme e camminano dentro un comune progetto pastorale. Il suo specifico ministero di guida della comunità parrocchiale va esercitato tessendo la trama delle missioni e dei servizi: non è possibile essere parrocchia missionaria da soli.

Ho già scritto cinque lettere ai presbiteri, nate dalla preoccupazione di comunicare messaggi che aiutino la consapevolezza, ma ora certo saremo lettere viventi gli uni per gli altri. Ci siamo tante volte incontrati e confrontati, quest’anno lo faremo in modo più intenso e organico. Obiettivo fondamentale è quello di essere uniti “come corde alla cetra”, titolo della mia terza lettera ai presbiteri, in cui tra l’altro scrivevo (a pag. 7):

“Ciascuno di voi si studi di fare coro”: dobbiamo volerlo fortemente, volerlo insieme, volerlo responsabilmente, e con spirito di sacrificio. La comunione del presbiterio attorno al vescovo è elemento essenziale per l’attestazione della sinfonia dell’amore trinitario di Dio che deve essere “di-spiegata”, “pro-ferita”, dimostrata, narrata. Dall’umiltà di Gesù nel cenacolo impariamo a non sopraffare la voce degli altri, sarebbe una stonatura a discapito dell’armonia, una “cacofonia” piuttosto che una sinfonia. L’altro rischio è quello di tirarsi fuori, essere una corda a se stante. Occorre invece mettere a disposizione il proprio dono perché ci sia l’opera d’arte […] La verità è sinfonica (H. U. Balthasar): quanto è bella e vera questa affermazione!

Carissimi fedeli, aiutateci anche voi!

Accompagnate il cammino dei presbiteri con il Vescovo di quest’anno con la preghiera, ma anche con la stima e l’affetto. E tutti, anzitutto noi ministri ordinati per il santo servizio al popolo di Dio, ripartiamo dalla gratitudine, che diventa poi fonte di vera conversione e quindi di atteggiamenti e scelte costruttivi. Riprendo, dalla lettera che il papa ha scritto nello scorso 4 agosto, festa del santo Curato d’Ars, solo quest’aspetto relativo alla gratitudine, mentre invito i presbiteri e i seminaristi a meditarla per intero:

La gratitudine è sempre un’“arma potente”. Solo se siamo in grado di contemplare e ringraziare concretamente per tutti i gesti di amore, generosità, solidarietà e fiducia, così come di perdono, pazienza, sopportazione e compassione con cui siamo stati trattati, lasceremo che lo Spirito ci doni quell’aria fresca in grado di rinnovare (e non rattoppare) la nostra vita e missione. Lasciamo che, come Pietro la mattina della “pesca miracolosa”, il nostro constatare tutto il bene ricevuto ci faccia risvegliare la nostra capacità di stupirci e di ringraziare, così da portarci a dire: «Signore, allontanati da me, perché sono un peccatore» (Lc 5,8) e, ancora una volta, ascoltiamo dalle labbra del Signore la sua chiamata: «Non temere; d’ora in poi sarai pescatore di uomini” (Lc 5,10); perché «eterna è la sua misericordia» (cfr Sal 135). 

Insieme da fratelli e accanto ai fratelli, comunicando nella fede

Mentre i presbiteri saranno impegnati in questo particolare momento di dialogo spirituale e pastorale, tutti saremo impegnati a vivere più intensamente l’esperienza della comunicazione nella fede aiutati anche da quanto il carissimo don Rosario Gisana ci ha detto sul dinamismo dello Spirito, che genera – come nella Chiesa nascente – una comunicazione fraterna grembo di testimonianza e di missione. Per questo sono importanti le quattro assiduità richiamate dagli Atti – all’insegnamento degli apostoli, alla preghiera, alla frazione del pane e alla comunione fraterna –, con un rinnovato impegno per la lectio divina per attingere sempre alle fonti della comunione e una celebrazione dell’eucaristia non slegata dalla vita, anzi generatrice di vita e di solidarietà!

Riprendo quanto ha detto il papa nella catechesi dello scorso 21 agosto:

La comunità cristiana nasce dall’effusione sovrabbondante dello Spirito Santo e cresce grazie al fermento della condivisione tra i fratelli e le sorelle in Cristo. C’è un dinamismo di solidarietà che edifica la Chiesa come famiglia di Dio, dove risulta centrale l’esperienza della koinonia. Cosa vuol dire, questa parola strana? È una parola greca che vuol dire «mettere in comunione», «mettere in comune», essere come una comunità, non isolati. Questa è l’esperienza della prima comunità cristiana, cioè mettere in comune, «condividere», «comunicare, partecipare», non isolarsi. Nella Chiesa delle origini, questa koinonia, questa comunità rimanda anzitutto alla partecipazione al Corpo e Sangue di Cristo. Per questo, quando facciamo la comunione noi diciamo “ci comunichiamo”, entriamo in comunione con Gesù e da questa comunione con Gesù arriviamo alla comunione con i fratelli e le sorelle. E questa comunione al Corpo e al Sangue di Cristo che si fa nella Santa Messa si traduce in unione fraterna, e quindi anche a quello che è più difficile per noi: mettere in comune i beni e al raccogliere il denaro per la colletta a favore della Chiesa madre di Gerusalemme (cfr Rm 12,13; 2Cor 8–9) e delle altre Chiese.

Il libro degli Atti degli Apostoli per il triennio pastorale

Insieme agli Atti degli apostoli come libro che ispira il nostro triennio e la nostra conversione di Chiesa alla comunione e alla missione, sarà importante tenere presente il Vangelo di Matteo proprio del prossimo anno liturgico, Vangelo che colloca la comunicazione di fede dentro gli orizzonti di una fede incarnata (discorso della montagna, parabole del regno, confronto sui temi della ricchezza e della povertà) e suggerisce al capitolo 18 alcune regole che fanno maturare e tradurre la comunicazione di fede in capacità di camminare insieme, correggendosi e perdonandosi.

Nella quaresima poi, i vangeli delle ultime tre domeniche di quest’anno liturgico, mentre ci chiederanno di rinnovare alle radici battesimali la nostra comunicazione in Dio, offrono suggerimenti importanti per situazioni particolari in cui la fede va comunicata nella complessità della nostra condizione umana, in una cordiale compagnia con tutti.

  • La Samaritana anzitutto, ovvero una vita che cerca di dissetarsi su vie che lasciano nella sete: ci suggerisce di essere Chiesa che si avvicina comunicando nella verità, ma con delicatezza e capacità di leggere i bisogni più profondi del cuore umano per aiutare a scorgere quelli veri.
  • Il cieco nato rimanda a tante situazioni di cecità ma anche di giudizio moralistico che non guarisce e non comunica né verità né misericordia. Papa Francesco ci chiama ad essere Chiesa ospedale da campo, a stare attenti alla gerarchia delle verità, a tutto compiere certo nella luce della verità senza mai, però, dimenticare che la luce di Dio resta, come amava dire il card. Newman che sarà canonizzato nel prossimo ottobre, una «luce gentile».
  • La morte e resurrezione di Lazzaro ci ricorda come, nel lutto per una perdita grave, la nostra parola ammutolisce, ma anche può diventare (se riesce ad entrare in sintonia con la Parola) parola forte che apre ad una comunione di particolare intensità e di forte verità.

Penso poi a tre motivi particolari di comunicazione di fede

  • In primo luogo come non rilevare la ricchezza che viene dalla vita religiosa e dai carismi contemplativi (nella nostra diocesi le Monache Benedettine dell’adorazione perpetua del Santissimo Sacramento, le Carmelitane scalze, le Visitandine)? Possono diventare sfaccettature preziose che aiutano a percorrere tutte le vie della missione sempre unificati nella carità.
  • C’è poi il delicato compito educativo, soprattutto nella famiglia, che fa incontrare tra generazioni e che dice «se abbiamo a cuore il futuro del mondo». Anche la scuola diventa un luogo favorevole per comunicare la fede con la testimonianza e l’attenzione ai «semina Verbi».
  • C’è, poi, quel particolare luogo di crescita, cuore della nostra Chiesa, che è il Seminario. Qui la comunicazione si fa intensa, diventa discernimento impegnativo, ma anche speranza per la nostra diocesi: comunicare nella fede diventa grembo di chiamata e di risposta a Dio!

Sul versante più operativo (anch’esso però importante per capire se passiamo dalle parole ai fatti) ricordo l’impegno a raccordare le dimensioni essenziali della pastorale – catechesi, liturgia, carità e attenzione a famiglia e giovani – che quest’anno, attraverso dei laboratori vicariali, diventerà sperimentazione di un sussidio veramente costruito e sperimentato insieme, comunicando nella fede e comunicando la fede e coltivando quelle sintonie generate dallo Spirito, mentre ogni spirito e passo di divisione dà uno spazio al mentitore e divisore che gli va tolto con la preghiera e la carità.

La bozza di sussidio che andrà a concretizzarsi in incontri vicariali nei mesi di ottobre e febbraio, per preparare tappe nei tempi forti, attesta il desiderio di lasciare libera la creatività ma anche chiede a tutti di sentirsi in sintonia su alcune tappe fondamentali:

  1. Ad ottobre l’inizio dell’anno, nel mese straordinario missionario durante il quale sarà celebrato il Sinodo delle Chiese di Amazzonia, riscopriamo il cuore della missione come dinamismo d’amore forte, sereno, paziente, evangelico!
  2. In Avvento apriamoci allo Spirito, convertiamo il cuore e i passi accogliendo l’invito di Giovanni Battista alla conversione e guardando a Maria e Giuseppe come ispiratori!
  3. A Natale lasciamo che l’accoglienza della Parola e dei poveri si incontrino nella comunicazione raccontandoci, gli uni gli altri, i segni della presenza di Dio come fecero i pastori al ritorno della grotta di Betlemme!
  4. Nella Quaresima, accogliamo la misericordia di Dio e perdoniamoci gli uni gli altri con la misura dell’amore vero, eccedente, che diventa accoglienza, cura attenta, rinascita!
  5. La Pasqua diventi tempo forte della nostra Chiesa, per una rinnovata Pentecoste, solennità che da più parti si chiede di celebrare con maggiore consapevolezza.

Nel Paese e nel mondo, una comunicazione generativa di bene comune

Siamo in un tempo difficile e impegnativo per il nostro Paese e i nostri territori. Dobbiamo maturare modalità di presenza che aiutino a ritrovare il senso del bene comune, partendo – come ebbi a dire all’inizio del mio ministero in mezzo a voi – dalla bellezza: non una qualsiasi bellezza, ma quella bellezza che comunica amore e con cui l’amore si comunica.

C’è da ritrovare con tutti quella comunicazione di se stessi che è il lavoro compiuto bene: qualsiasi lavoro e poi, in modo tutto particolare, quello educativo che diventa comunicazione di bene.

L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balia di se stessi, tanto da non strappargli di mano l’occasione di intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa di imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti.

Ci sarà da capire poi quali vie e forme può assumere un contributo più diretto nei campi della cultura, dell’economia, della politica. Nel frattempo sarà importante aiutare a recuperare un clima costruttivo e quell’architettura fondamentale del nostro essere insieme “repubblica italiana” che è la Costituzione, soprattutto nei suoi principi fondamentali e negli equilibri delle istituzioni.

Il gemellaggio con Butembo-Beni, la presenza dei migranti dal Sud del mondo e dall’Est dell’Europa ma anche i crescenti flussi migratori dei nostri giovani in cerca di lavoro nel mondo, ci impegnano quindi a sempre collocarci nel respiro dell’unica famiglia umana.

Non dimentichiamo in modo particolare la nostra posizione mediterranea, che è non solo fisica e geopolitica ma anche geografica dell’anima, come ci ha testimoniato Giorgio La Pira.

Nella “Lettera a Pio XII” del 4 maggio 1958 il nostro “sindaco santo2 scriveva:

Che posto e che compito ha l’Italia cristiana? Vi dico subi­to, Beatissimo Padre, quale è la “intuizione” che da qualche tempo fiorisce sempre più chiaramente nella mia anima. Questa: il Mediterraneo “il lago di Tiberiade”, del nuovo universo delle nazioni: le nazioni che sono nelle rive di questo lago sono nazioni adoratrici del Dio di Abramo, di Isacco, di Giacobbe; del Dio vero e vivo. Queste nazioni, col lago che esse circondano, costituiscono l’asse religioso e civile attorno a cui deve gravitare questo nuovo Cosmo delle nazioni: da Oriente e da Occidente si viene qui […] E praticamente cosa fare? Cosa deve fare l’Italia cristia­na? Preoccuparsi (con la preghiera, con la meditazione e con l’azione prudente, ma intelligente e a “largo re­spiro”) della “unificazione”, della convergenza, di queste nazioni mediterranee: svolgere la propria azione politi­ca, economica, culturale, sociale (religiosa) ecc. in vista della costituzione di questo «centro» del nuovo universo delle nazioni: in vista della costituzione di questo punto di attrazione e di gravitazione delle nazioni: perché da Oriente e da Occidente le nazioni «vengano a bagnarsi» in questo grande lago di Tiberiade, che è, per definizio­ne, il lago di tutta la terra.

Avremo per questo un momento di discernimento a novembre come Chiese di Sicilia in un convegno promosso insieme dagli uffici regionali di Missio, Migrantes, ecumenismo e Caritas e poi vi sarà a febbraio a Bari un colloquio mediterraneo con vescovi da tutte le terre che confluiscono nel Mare nostrum e con la partecipazione di papa Francesco.

Abbiamo però intanto da riscoprire e custodire tutti il respiro grande della vita e testimonianza evangelica per avere, infondere, accrescere fiducia, attraversando con coraggio le prove del nostro tempo. Concludo, con questo invito alla speranza, facendo mie ancora le parole di Giorgio La Pira:

«Ti ho posto per luce delle nazioni» dice la Sacra Scrittura rivolta profeticamente a Gesù! La voce di Dio è chiara: il suo comandamento è preciso: la Sacra Scrittura – da Abramo sino a S. Giovanni Battista, dal Battista a Cristo – esplicitamente lo enunzia: Io sono la luce del mondo, dice il Signore. Ed il Corano esplicitamente lo conferma: Parola di Dio alle nazioni. Ed allora? Allora ecco il grande problema storico, la grande missione storica che viene oggi confidata ai popoli che il Signore chiama ad essere attori e forgiatori della storia futura: fugare su tutta la faccia della terra le oscurità di morte dell’ateismo e fare splendere su tutta la faccia della terra la luce purificatrice, elevante, della grazia di Dio e della bellezza di Dio! […] Per recare a tutti una speranza, un conforto, una consolazione: per mostrare ancora una volta nel corso della storia, che la vita politica non è dissociata dalle profonde finalità teologiche cui la storia millenaria: che conoscere Dio, amare Dio, servire Dio costituisce lo scopo essenziale non solo dei singoli ma anche dei popoli e delle nazioni. (…) Dobbiamo unirci: il fondo delle tre civiltà monoteistiche è costituto dallo stesso mistero divino. Tutte e tre insieme esse sono destinate a fare rifiorire in questo misterioso e prestigioso mare Mediterraneo una civiltà di alto livello religioso, culturale, sociale e politico.

Antonio Staglianò, Vescovo di Noto

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